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Ogni giorno il mio analista immaginario mi chiede: Ha problemi con Morrissey, vero?
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Oggi fa proprio caldo qui nell'estremo Sud. La prima giornata di vero caldo, afa,35°C...mi verrebbe da farmi il bagno in piscina...se non fosse che ho tutti i costumi in lavatrice
![]() Sono nel terrazzo, nella mia nuova e momentanea casa. Sono solo nel terrazzo. A poche decine di metri sento i miei vicini che stanno cenando e chiaccherando... Non posso non pensare che questa scena non mi è proprio tanto nuova...Per anni ho passato le mie serate dopo cena da solo nel terrazzo, spesso sentivo mio fratello e mia cognata, che abitanano sopra casa "mia" cenare e parlare... Scene tanto uguali, ma tanto diverse! Si perchè questa scena si ripete come nel più classico dei dejavu. Solo che la casa in cui vivo non è casa mia, ma una casa in affitto, i vicini di oggi non sono mio fratello e mia cognata, ma sono solo dei "sconosciuti". Eppure mi ritrovo a passare le mie serate solo come prima, solo come le ho passate negli ultimi 9 anni. Avrei voglia di stare a parlare con qualcuno, proprio come avrei voluto stare con mia moglie negli ultimi 9 anni...invece...sono ancora io e me! Negli ultimi mesi ho dovuto cambiare vita...è dura...le persone attorno appena ti vedono un attimo più fragile non vedono l'ora di darti il colpo di grazia, non puoi abbassare mai la guardia, anche quando ti verrebbe di fanculizzare tutto e tutti...non puoi farlo...perchè fortunatamente la vita mi ha lasciato il dono più prezaioso che esista...e sono queste cose che mi hanno dato quella forza in più per combattere contro tutto e tutti... l'unica forza che non mi ha dato è di lottare contro la persona che mi ha accompagnato negli ultimi 9 anni...probabilmente perchè se avessi lottato contro lei, sarebbe stato come colpire lui...è quindi è stato giusto così! Ora resto ancora un pò nel terrazzo, con la mia bottiglia accanto e poi tra un pò rientro dentro...proprio come accadeva negli ultimi 9 anni
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a cugini uguali corrispondono donne uguali chiudi gli occhi e abbracciami forte...
e ti proteggerò da ogni cosa vorrà farti del male |
#7283
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Quella del 13 settembre 2010 è stata la giornata più fisicamente spartiacque della mia vita: mi sono trasferito a Padova, dove tuttora abito.
Non fu una scelta facile: non ho mai raccontato dettagliatamente i motivi a nessuno (con l'eccezione del motivo più grande e palese, cioè Veronica) e mi sono ripromesso in occasione del decimo anniversario del mio trasferimento, cioè tra più di due anni. Ho soppesato pro e contro, pro e contro di ogni scelta, e senza anticipare niente delle mie motivazioni, ho semplicemente pensato che andandomene non avrei fatto un torto a nessuno. I miei genitori sono abbastanza maturi (e abbastanza "genitori") per capire che, nonostante l'affetto profondissimo che ci lega, e che ci porta a telefonarci quasi ogni giorno, fosse il momento giusto per lasciarmi andare. I miei amici stavano già iniziando a sparpagliarsi in giro per l'Italia, per l'Europa e per il mondo, quindi nessuno poteva sindacare. E poi, inutile far finta di niente, c'era Ale, che poco meno di due anni prima era stato risucchiato in un buco nero (figurato e non, immagino) dal quale il nostro rapporto era stato stravolto. Io credo fortemente nei rapporti di causa ed effetto e soprattutto credo nei rapporti di non causa e non effetto: se non ci fosse stato quell'evento lì (uno spartiacque non fisico ma emotivo fortissimo) magari a catena non sarebbe successa quella serie di eventi, fortuiti o meno, che mi ha portato a conoscere Vero. Non posso saperlo, ma non posso neanche escluderlo. In ogni caso, quando sono partito, ho pensato che Ale era la persona che sarebbe stata "meno peggio". Non vuol dire che sarebbe stato meglio, anzi, ma il suo umore non sarebbe peggiorato più di altri umori. In fondo era fresco di matrimonio, con la moglie incinta e un avvenire luminoso davanti. Stacco. I dettagli li tengo per me e per noi, ma sette anni e un paio di settimane dopo la mia partenza ho scoperto un'altra verità, ben più amara. L'aver saputo tutto dopo mi impedisce completamente di sentirmi in colpa per il mio "essermene andato", visto che non sapevo niente, che non mi veniva detto niente e questa scelta, sindacabile o meno, è stata presa indipendentemente dalla mia volontà e non ho potuto fare altro che accettarla. Quindi rileggere di quelle serate solitarie in giardino e non averne saputo niente mi impedisce di pensare "ah, se solo ci fossi stato io". Questo, però, vale fino ad allora. Perché poi sono stato informato, e sono informato in diretta, e dopo Vero Ale è la persona con cui mi sento più spesso in questo periodo, ma questo è materiale per un altro post, in un altro momento. Perché l'unica cosa che voglio scrivere adesso, che mi sento in dovere di scrivere, è che mi dispiace essere così lontano. Mi dispiace davvero, non mi sento totalmente in colpa ma mi dispiace. Mi dispiace perché so che la mia vicinanza fisica sarebbe importante, perché mi ricordo quanto lo è stata in un altro periodo di crisi (dieci anni fa, oramai) e quello era niente rispetto ad adesso. Mi dispiace perché se fossi lì potremmo farci le nostre serate a base di limoncello come dieci anni fa e magari senza risolvere tutto (perché non bastano le chiacchiere per farlo) riusciremmo comunque a stare bene e riuscirei a rasserenarlo parzialmente com'è successo quando sono stato con lui un paio di settimane fa. A meno di giganteschi cataclismi che non mi auguro, difficilmente tornerò ad abitare a Catania: ho un rapporto di coppia solido e collaudato, un lavoro che inizia a stabilizzarsi e stiamo per comprare casa, quindi no, non abiterò lì. E, per fortuna, non ho ancora avuto grossi "traumi a distanza", come malattie o lutti; cose, insomma, che fanno sentire in colpa per la lontananza. Quindi, tolti questi traumi a distanza, quello che provo per Ale, la pena nel saperlo così e l'impotenza nel non poter fare niente, è certamente il dolore più grande tra quelli legati alla distanza. So di riuscire a rendermi utile anche da lontano, anche se non è la stessa cosa. E comunque in (quasi) otto anni nessuno mi aveva ancora scritto un messaggio come quello del titolo di questo post. (post scritto ascoltando Treasures From The Temple dei Thievery Corporation)
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#7285
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Detto questo, a vent'anni di distanza da quell'estate ribadisco che sia stato il momento in cui mi sono accorto di provare "nostalgia", e avevo solo dodici anni; ma già mi mancava qualcosa. Ho recuperato vecchi videogiochi del passato ma altri li ho lasciati lì, ho fatto lo stesso con alcune canzoni, lasciandone altre relegate al passato che è passato. Quella del 1998 è stata l'estate della nostalgia, dell'inizio della nostalgia, almeno. E però è anche stata l'estate del primo Wipeout. È "durato" poco (c'ho giocato solo quell'estate con Ale, e poi l'anno successivo da solo), ma ha messo dei semi ampiamente raccontati nel post linkato (all'interno del post quotato), nel post scritto dieci anni dopo il post linkato e un po' dappertutto in Carta Azzurra. Quest'anno il primo Wipeout compie vent'anni, o almeno, compie vent'anni da quando l'ho scoperto. Credo proprio che, per festeggiare, ci giocherò, e chissà che riesca a completarlo (con Ale, e poi da solo, ci bloccavamo sempre all'ultima gara).
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#7286
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Ieri ho assistito a qualcosa di incredibile, che mi toccava da lontano ma che ha toccato delle mie corde sempre molto sensibili.
È stata organizzata, poco fuori Bologna, una rimpatriata della famiglia della mamma di Veronica. Una rimpatriata molto allargata: morti i cinque fratelli capostipiti (il nonno paterno di Veronica e i suoi quattro fratelli) c'erano tutti i vari figli, nipoti e in alcuni casi bisnipoti, molti dei quali non si conoscevano neanche tra loro. Tutti i cugini (quindi i figli) sì, ma tra gli altri ci sono state molte "presentazioni". Ho contribuito come al solito alla redazione dell'albero genealogico (ormai sto diventando un esperto) e mi sono goduto quest'atmosfera familiare estremamente allargata. Poi ho provato a trasporla alla mia famiglia. Se una cosa simile si facesse dal lato di mia mamma sarebbe molto meno allargata e soprattutto molto meno "nuova": io stesso conosco perfettamente i cugini di mia mamma, che sono molti meno dei presenti ieri; l'albero genealogico, almeno a questo livello, è molto ristretto. Se una cosa simile si facesse dal lato di mio papà, invece, non ho idea della sua vastità, probabilmente enorme: non ho idea di quanti siano, ma dev'essere un numero alto, soprattutto contando eventuali figli e nipoti. Sarebbe una cosa enorme, forse esagerata. Mi accontenterei di molto meno. Mi accontenterei di vedere tutti gli zii, tutti i miei cugini e tutti i loro figli seduti intorno allo stesso tavolo. Accade sempre più raramente, ormai qualcuno si è completamente tirato fuori per motivi inspiegabili (ed inspiegati), ma io continuo sempre a sperarci. Chissà che prima o poi non accada di nuovo. (post scritto ascoltando Treasure From The Temple dei Thievery Corporation)
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#7287
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S-Low, comunque, poi sono riuscito ad ascoltarlo senza problemi. È un gran disco, e riascoltarlo mi riporta alla mente quel periodo, depurato però dei pensieri negativi. La stessa Marlene, del resto, è stata consegnata alla Storia. Ma la questione della condivisione della musica è per me fondamentale. Ci sono per me dei dischi imprescindibili, o dischi "da isola deserta", e appartengono a questa categoria per due motivi. Alcuni perché sono dischi che ancora oggi trovo splendidi, a volte perfetti, e mi emozionano nota per nota per i soli suoni, senza ricordi ad essi legati (ad esempio, ieri andando e tornando da Bologna ho ascoltato DallAmeriCaruso di Lucio Dalla e l'ho trovato ancora perfetto); altri perché sono dischi che mi riportano alla mente un momento in cui li ho considerati perfetti, in cui li ho condivisi visceralmente e li ho così consegnati all'eternità. Alcuni dischi, poi, sono tutte e due le cose. Ma ne basta anche solo una. Un giorno mi piacerebbe fare una lista. La lista dei dischi "perfetti". O dei "miei" dischi.
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L'espressione "a memoria" in inglese si traduce con "by heart", che letteralmente vuol dire "di cuore". È buffo pensare che in due lingue lo stesso concetto utilizzi due organi, cuore e cervello, solitamente contrapposti.
Eppure, a volte "di cuore" funziona meglio di "a memoria". Mi è capitato due volte, entrambe qualche anno fa. Non ricordo quale sia capitata per prima, così le racconto in ordine casuale. Dopo aver ripreso a suonare il pianoforte decisi, molto lentamente di riavvicinarmi alla musica classica. Il primo pezzo a finire sotto le mie grinfie di rinnovato pianista fu la seconda suite inglese di Bach, uno dei miei pezzi preferiti di sempre. Piano piano ripresi il mio vecchio repertoro, finché arrivai al Children's Corner di Debussy, forse una delle sue cose migliori, una raccolta di sei pezzi di post-classica con accenni di jazz. Il primo dei sei pezzi si chiama Doctor Gradus Ad Parnassum ed è una corsa frenetica, piena di arpeggi e di saltelli. Prima di smettere di studiare il pianoforte, quindi a quindici anni, mi riusciva anche bene, e non avrei idea di come sarebbe andata riprendendolo in mano dopo circa dieci anni. Presi lo spartito ed iniziai a suonare. L'inizio è molto semplice, quasi per una mano sola, così mi permisi una certa velocità visto che la mia capacità di lettura riusciva a stare dietro al tempo che stavo tenendo. Poi, però, il pezzo iniziò a complicarsi, e mi accorsi di non riuscire più a leggere con la stessa velocità. Avrei potuto rallentare, visto che in fondo ero solo con mia zia, ma mi accorsi che le dita andavano da sole. Lo facevano davvero: ormai avevo smesso di leggere lo spartito, mia zia mi chiese con un cenno del capo quando girare pagina e io feci spallucce perché davvero, non avevo idea di dove fossi arrivato. Sapevo solo che stavo suonando bene, stavo suonando un pezzo che non suonavo da dieci anni e che pensavo di non ricordare più. O almeno, consciamente non avrei saputo dire come sarei andato avanti, ma inconsciamente le mie dita si muovevano da sole, frenetiche, sulla tastiera, e così riuscii ad arrivare fino in fondo senza sapere neanche come. Raccontai a mia zia che mi sorrise, dall'alto della sua simpatica pazzia. Qualche parte del mio cervello (o del mio cuore?) aveva memorizzato i movimenti delle dita, gli intervalli sui tasti, e indipendentemente dalla musica che stavo suonando, ero riuscito a riprodurre perfettamente lo spartito. Da bambino adoravo un videogioco, tale Chip's Challenge, che un nostro vicino di casa aveva ribattezzato "labirinto", scrivendo questa parola con la sua calligrafia incerta sul dischetto che aveva prestato ad Ale. Era un gioco principalmente di labirinti, in cui a volte servivano abilità e coordinazione per schivare i nemici mentre altre volte bisognava "soltanto" trovare l'uscita. Tra tutti i livelli il mio preferito era indubbiamente quello in cui "non si poteva tornare indietro": il pavimento era fatto in modo che una volta andati in una direzione si creava un muro alle proprie spalle, e quindi sbagliare voleva dire essere costretti a ricominciare il livello da capo. Da bambino adoravo questo livello e lo sapevo ovviamente a memoria, mentre Ale aveva annotato ogni singola direzione su uno dei suoi adorati quaderni. Poco meno di vent'anni dopo (quindi un intervallo quasi doppio rispetto a quello pianistico) ripresi in mano il gioco con lo scopo, finalmente, di completarlo, e quando arrivai a quel livello pensai che c'avrei messo un sacco a trovare la strada. Incredibilmente, invece, la trovai al primo colpo: ad ogni bivio sapevo perfettamente dove andare, e seppur non con totale consapevolezza, arrivai alla fine senza sbagliare mai. In questo caso non si trattava ovviamente di "memoria fisica", di movimenti, quanto di sequenza di informazioni (le direzioni da prendere) che erano rimaste nascoste da qualche parte della mia memoria, per poi riemergere vent'anni dopo. A memoria, quindi, ma ancora meglio di cuore. Qui c'è un audio del pezzo di Debussy (con tanto di spartito), qui un video del livello di Chip's Challenge. (post scritto ascoltando Ocean Songs dei Dirty Three)
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#7289
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Qualche settimana fa mi è capitato sotto gli occhi un post scritto dieci anni prima che ho deciso di non quotare perché in fondo raccontava un fatto effimero: una serata in cui sia Carola sia Martino mi avevano detto di essere in crisi e io avevo preferito andare dal secondo perché le crisi della prima erano poco credibili e quasi fastidiose. Dovendo scegliere, insomma, preferii andare da Martino, che non mi ricordo che probemi avesse in particolare (questione di donne ovviamente, così come i problemi di Carola erano questioni di uomini).
Anche adesso, nella mia vita, ci sono due persone in crisi, in modo diversissimo tra loro e per motivi diversissimi (seppur, almeno parzialmente, afferenti alla stessa sfera, quella - diciamo - matrimoniale). Eppure il modo in cui mi relaziono con loro è completamente diverso. Non sono due persone a caso, sono due pilastri della mia vita. Eppure quando una di queste dice che deve raccontarmi "corro" (uso le virgolette a causa della distanza), mentre quando me lo dice l'altra mi infastidisco. Perché? Potrebbe essere a causa dei motivi scatenanti delle crisi, forse. Un conto è una crisi subita, un altro conto una crisi (parzialmente) provocata. Potrebbe essere a causa della modalità di gestione della crisi, e di interlocuzione durante la crisi. Potrebbe essere per mille motivi, ma io so solo una cosa. So che quando perdo il mio tempo (perché lo perdo, davvero) ascoltando gli sproloqui di una persona che mai avrei detto che sarebbe arrivata a starmi sulle palle (tutto avrei potuto pensare nella mia vita, tranne che questo), penso a quanto sarebbe molto più utile e produttivo teletrasportarmi dall'altra parte dell'Italia per stare con qualcun altro che sinceramente lo meriterebbe molto di più. Il teletrasporto non esiste, è vero. Ma da domani cercherò di fermarmi più spesso a lavoro per la pausa pranzo. (post scritto ascoltando Que Bom di Stefano Bollani)
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#7290
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Ho iniziato a scrivere questo post mentre una tristissima canzone, che inizia con "it's over", mi ha ricordato un'altrettanto tristissima serata albanese, quando iniziavo a pensare che potesse finire, e forse era finita per davvero.
Ma non è finita per davvero, visto che mercoledì prossimo saremo dal notaio per comprare casa. Potrei scrivere mille cose su quest'argomento, e probabilmente lo farò. Adesso, però, pranzo. (post scritto ascoltando 13 dei Blur)
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#7291
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Una premessa che potevo ricordarmi solo io, e poi la cronaca di un concerto. I Sud Sound System ai Mercati Generali, con Erika. Mi rendo conto che aver raccontato qui, giorno per giorno (ma solo i giorni in cui c'era da raccontare, quindi molto pochi), quello che succedeva, ecco, ha cristallizzato il tutto. Io ho dimenticato un sacco di cose, soprattutto a livello di sensazioni, ma rileggendo dieci anni dopo mi ritorna in mente la serata ai Mercati, un anno dopo esserci stato con mia zia, e un anno prima di andarci per l'ultima volta, sempre con mia zia, sempre per Joan As Police Woman. Nel frattempo, però, con Erika ci siamo andati diverse volte, tanto da ribattezzarlo "il nostro locale" (anche se le volte alla fine saranno state tre o quattro, ma del resto le cose non è che andassero così bene). E così, appunto, mi rendo conto di aver raccontato giorno per giorno quello che è successo tra noi. Carta azzurra ha fatto da sfondo principalmente a quel triennio in cui c'è stata questa storia fallimentare, c'è stata la fine di un'amicizia storica, lo svolgimento breve e intenso di un'altra amicizia, e poi la nascita dell'amore che dura fino ad oggi. Un po' mi spiace per quello che c'è stato prima. Perchè anche prima ci sono state storie degne di essere raccontate, storie d'amore e di amicizia, storie che magari ho raccontato anche sul forum ma in altri thread, sparpagliati, senza seguire un filo logico. Sarò eternamente grato alla mia scelta di aprire Carta azzurra e di scriverci dentro tutto quello che succedeva. Anche una banalissima serata con Erika che, come la precedente, sembrava non portare da nessuna parte.
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#7292
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Non poteva esserci persona più lontana da me, per età e per situazione familiare/di vita; eppure ci siamo trovati. Ci siamo trovati e tutto è stato molto lento: comunicazioni esclusivamente via pm, con forse un paio di telefonate e basta. Pm, quindi: tanti, e tutti con lo stesso titolo. Il titolo non lo scrivo, non perché sia "intimo" o "privato", ma perché è una cosa nostra: era il testo di un mio post che l'ha fatta ridere e che l'ha spinta a contattarmi, usandolo appunto come titolo. Poi io ho risposto, e il titolo della risposta era "riferimento:" e poi il titolo. Da allora quel pm rimbalza avanti e indietro, con cadenza variabile, a volte giornaliera, a volte settimanale, a volte mensile, ma rimbalza, ed è uno dei punti fermi della mia vita. Silenzioso, per nulla ingombrante, mai morboso o altro, ma sicuramente onnipresente, sullo sfondo. Ci siamo visti due volte, una a Roma e una a Firenze. Abbiamo visto un concerto insieme (bellissimo) e mi ha regalato un libro che ha avuto un impatto incredibile sulla mia vita: sulle prime non mi è piaciuto, poi ho letto altri libri dello stesso autore fino a trovare quello che tuttora è il mio romanzo preferito di sempre, poi ho riletto quello che mi aveva regalato e l'ho trovato straordinario, poi ho scritto un libro e ho usato come epigrafe una frase che lei aveva sottolineato dal libro che stava per regalarmi. Non so come andranno le cose, non so se riusciremo a rivederci, so solo che non scrive mai se non i pm a me. E so che devo risponderle. Lo faccio subito. Dieci anni, ti rendi conto? Dieci anni con il pm sempre con lo stesso titolo!
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Ciao,
volevo farti tanti auguri per il tuo compleanno, e volevo dirti che mi dispiace. Mi dispiace saperti così (stavo per usare la parola "vederti", ma ti ho vista due volte negli ultimi due anni, quindi evito). Mi dispiace sapere che, nonostante una situazione lavorativa tutto sommato buona, nonostante tu sia piena di amici (amici? Siamo sicuri che siano veri amici, visto il ricambio così continuo, con l'eccezione della mia ragazza?), nonostante tu abbia un indubbio gusto per il sexy, con l'immancabile tacco alto e l'immancabile gonna corta di ottoottotreana memoria, e soprattutto, nonostante tu sia la persona col più alto numero di partner sessuali che io conosca, tu non sia riuscita a trovare una tua stabilità sentimentale. Mi chiedo quanto c'entri l'ultimo fattore (quello della vita sessuale sfrenata) e quanto invece dipenda da una tua instabilità interiore, anche se in effetti le due cose mi sembrano incredibilmente correlate. Certo, penso alla tua fama di mangiauomini e alla tua inevitabile malinconia quando l'altra metà del letto è fredda, e penso invece alla estrema tranquillità della tua migliore amica che sta per comprare casa, e qualche indicazione su chi stia "meglio" ce l'ho sotto gli occhi. Ma comunque, tanti auguri! PS mi autocomplimento per il titolo del post. (post scritto ascoltando Mali Music di Mali Music)
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#7294
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Io sono a Padova, lui è a Londra. Siamo molto legati da un filo spesso ma invisibile: praticamente non ci sentiamo quasi mai, ma quando ci vediamo è sempre una festa. Lui continua ad essere spiritoso e brillante e tutto quanto, ma contemporaneamente ha una sorta di "inadeguatezza alla vita", o forse incompatibilità con essa, che lo porta ad essere fondamentalmente solo. Non che non ci abbia provato, anzi, ma ha preso un'inculata colossale dalla quale non so ancora se sia uscito e come (malconcio, direi). Nella mia lista di dischi "perfetti" (voglio compilarla, sì), c'è certamente Last Night. Non da dieci anni, ma da qualcuno in meno certamente.
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Oggi i Ride hanno festeggiato un anno dall'uscita del loro Weather Diaries con un lungo post. Per la prima volta in vita mia ho commentato un post pubblico su Facebook e ho scritto:
Maybe you'll never read this, but I discovered Ride just before Weather Diaries came out; I liked the first four albums, but Weather Diaries really stands out as the best album of 2017. Not bad, for a band I never heard of before. That record still gives me goosebumps. Hanno commentato con un cuore. Chiunque di loro sia stato, saprà che considero Weather Diaries un capolavoro. (post scritto ascoltando Sparkle Hard di Stephen Malkmus And The Jicks)
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Oggi, per festeggiare il decennale della nostra amicizia, ho letto il libro regalatomi a Roma. L'ho letto in spiaggia, tutto d'un fiato, in tre ore circa. Quando ho finito ho ribadito alla mia compagna che si tratta di un capolavoro, e mi ha risposto "ci scriverai un post stasera, giusto?". "Puoi giurarci", ho affermato.
E invece no. Oddio, in effetti questo è un post su quel libro, almeno apparentemente però. Perché in realtà è un post sul fatto che il vero post sul libro lo scriverò il giorno del decennale del regalo. Che giorno sia lo so con certezza perché è stato scritto a penna dalla regalante sul libro stesso. So anche che quel giorno non ho scritto sul forum perché eravamo a Roma e non c'erano ancora gli smartphone per scrivere da fuori casa. E so anche che un post su quel libro l'ho scritto, ma qualche giorno dopo. Quello che posso scrivere adesso, comunque, è che il libro è un capolavoro, e che se la prima volta che l'ho letto (cioè l'indomani sera, nella sala d'attesa della stazione Termini, da solo, mentre aspettavo il treno che mi avrebbe riportato a Catania) non mi è piaciuto è stato solo perché mi ha infastidito tantissimo. Mi ha infastidito perché mi stava rivelando una verità che dopo mesi mi rifiutavo ancora di vedere, e invece era letteralmente sotto i miei occhi, stampata su quelle pagine. Tant'è vero che, quando qualche giorno dopo scrissi quel post dedicato al libro, esso era effettivamente profetico, non c'è che dire. Dalla seconda lettura in poi, in effetti, l'ho considerato un capolavoro, punto e basta. Ne riparliamo a San Valentino, comunque.
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#7297
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Tell me how do I feel?
Tell me now, how should I feel?
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Oggi, però, è successo.
È successo perché l'affetto vero resta nonostante la dilatazione dei tempi. Lo scrigno, i ringraziamenti, l'orizzonte. Certe parole me le porterò dentro per sempre, mi sa.
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Ci leggo dentro però anche una novità, in effetti. O meglio, un errore. In questo post si parla degli anni dal 1998 al 2000, e va bene. Ho scritto dei miei compagni delle medie nerd, quelli che ho conosciuto nei primi mesi della prima media e con cui ho condiviso parecchi ricordi videoludici. Ho davanti a me una festa di compleanno passata a giocare a videogiochi vari, ho la consegna del floppy originale di Lemmings, ho il recupero di Monkey Island e dei Blues Brothers. Ma qualcosa non torna. Questa cosa è accaduta nei primi mesi della prima media, quindi nell'autunno del 1996. L'Amiga di Ale ha smesso di funzionare in un momento imprecisato della primavera 1997 (tra la cresima di Marco e l'estate), quindi io in quel momento non potevo ancora sapere che "i tempi d'oro" sarebbero finiti. Eppure, accolsi il ritorno di Lemmings e di Monkey Island come qualcosa di commovente. Che ci sta, perché a quei due videogiochi c'avevamo giocato solo nei primissimi '90, forse il '92, dubito anche il '93, quindi averli nel 1996 fu certamente un super ritorno al passato. Ma i Blues Brothers? Con Ale l'avevamo appena completato, perché ci tenevo così tanto ad averlo? Probabilmente non si trattava di nostalgia bensì, immagino, di "avere anche d'inverno lo stesso gioco dell'estate", anche se poi l'estate che arrivò avrebbe portato la notizia della rottura dell'Amiga. Quello dei Blues Brothers però è uno dei pochi giochi che ho ripreso (molti altri li ho "lasciati lì" per cristallizzarsi col tempo), e qualche anno fa l'ho completato con Franz. Potrei riprenderne qualche altro, prima o poi. Senza dimenticarmi che quest'anno è l'anno del ventennale di Wipeout, o meglio, dell'ingresso di Wipeout nella mia, anzi, nelle nostre vite. Vedremo come festeggiare.
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#7300
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Magari. Come a dire, è possibile ma non probabile.
Prima o poi. Come a dire, è possibile ma non è detto che accada a breve. Riusciremo. Come a dire, è possibile ma c'è del lavoro da fare. A recuperare. Come a dire, è possibile ma bisogna tornare indietro. Il rapporto che avevamo. Come a dire, è possibile ma...siamo proprio sicuri? Non ho mai creduto nei ritorni di fiamma, nelle minestre riscaldate. Non ci credo perché, con due gigantesche eccezioni (come ho scritto nel mio "ultimo" post su Carta Azzurra, prima di partire), non hanno mai funzionato. Con me, almeno. Ci sono state persone che hanno promesso un ritorno e poi non sono mai ritornate davvero. E ho sempre trovato disonesto l'annunciare il proprio ritorno in pompa magna, l'illudere l'altra persona (me, nella fattispecie) e poi sparire, o comportarsi male. C'è una bellissima canzone di Raf, "Nel tuo ritorno", in cui si chiede se il ritorno dell'altra persona sia solo "nostalgia di un sogno andato via". Ecco, bisognerebbe avere la maturità di ammetterlo. Mi spiace di esserci cascato tante volte, rovinando così (almeno in parte) ricordi dolorosi ma alla fine globalmente piacevoli. E molta più stima per chi ha deciso di farsi da parte e basta, o chi è tornata solo per un saluto al volo e basta. Mi piacciono i saluti al volo, in fondo. (post scritto ascoltando Doris And The Daggers di Spiral Stairs)
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